BIOGRAFIA

Luigi Allegrucci nasce a Gubbio, il 23 Febbraio 1936.

Spinto dal padre, che era il più bravo acconciatore eugubino, inizia prestissimo a lavorare nella bottega di famiglia, dimostrando subito doti non indifferenti. Così questo figlio “di Arte” affina le sue qualità studiando alla “Scuola Smeraldo di Perugia in via Settevalli”, dove ci va il fior fiore degli acconciatori. Si distingue subito dagli altri colleghi e ne diventa il trascinatore, grazie anche alle avanzatissime attrezzature di cui dispone. Luigi possiede, infatti, “i migliori ferri del mondo”. Le sue vere passioni però sono l’arte e lo spettacolo. Racconta che all’età di 6 anni, al circo Orfei, abbia eseguito con la bicicletta lo spericolato giro della morte; collabora con grandi cantanti (ha una splendida voce…), tra cui Fred Bongusto, al quale, dopo un duetto non entusiasmante tenuto a Roma, dice: ”Classe, ‘n me si piaciuto stesera!”. Luigi è anche un grande sportivo: si tuffa dal trampolino olimpionico, e si può vantare “di aver raccolto la dentiera del suo amico “Gigino de Babusse” caduta negli abissi ad 80 metri di profondità nel lago di Varano sulla sponda dove c’è il pioppo!”. È uno dei pionieri del tennis, “sport che praticamente a Gubbio ho importato io”. Partecipa a numerosi film di successo, diretti da registi di grido (soprattutto Oldoini e Zeffirelli, che lo chiamano spesso). Inoltre è un grande ballerino e di conseguenza uno sfrenato rubacuori. Per molto tempo, Luigi continua a studiare alla Scuola Smeraldo di Perugia in via Settevalli: fra un taglio e l’altro (vere opere d’arte…) canta, balla, recita, nuota, scia, va in bicicletta, ed è un vero Pigmalione per i giovani tennisti locali.

Dopo breve malattia, Luigi muore a Gubbio il 31 Gennaio 2001, lasciando in città, oltre ad un vuoto incolmabile, anche un segno indelebile.

Una vita come opera d’arte, una di quelle esistenze che Gabriele D’Annunzio avrebbe ammirato. Il suo aspetto, già di per sé anomalo, da non passare inosservato, con perfetti completi scozzesi abbinati ad anfibi gialli, foulard ed immancabile orologio sul polsino (“solo in due possiamo permettercelo”). Il tutto sormontato da una capigliatura degna del miglior Branduardi, della quale andava oltremodo fiero (non sono riccio, sono crespo… il riccio è colui che attraversa la strada e lo investono) e due occhiali legati da un elegante laccio rosso. Questo e altro era Luigi, ma apprezzarlo significa averlo conosciuto: un esibizionismo istrionico, la voglia di stupire divertendosi e divertirsi stupendo, in una parola di sua coniazione, la “pimpantezza”, cioè la volontà di catturare l’attenzione e di vivere gioiosamente; perché lui si sentiva diverso, un po’ sopra gli altri, perché un po’ sopra lo era. Fra anni ancora si parlerà di lui, delle sue frasi, e alcuni ricorderanno, magari esagerandoli, i suoi più celebri aneddoti, come quando per rimproverare un ragazzo che a suo modo non trattava educatamente la fidanzata, dal momento che in un ristorante le aveva rivolto qualche parola non elegante, disse: “Pipo, ‘n sai fine pe ‘n cazzo!”. Il non saper tenere la bocca chiusa di fronte a situazioni particolari, l’eccesso di sincerità lo portava ad esternare più di una verità a volte imbarazzante, del tipo: “S’ero brutto come te manco uscivo de casa…” oppure, ad uno non troppo intelligente: “Se gli attaccano la machinetta ‘nno smove manco l’ago” (riferendosi ad un eventuale e visionario macchinario per misurare dell’intelligenza). Un narcisismo spontaneo, derivatogli da una consapevolezza di essere superiore agli altri, in qualsiasi ramo dell’arte, del lavoro e dello sport. Luigi era il miglior barbiere, il miglior tennista, il miglior nuotatore, cantante, amante, per non parlare del ballo “So ‘l miglior ballerino al Mondo: su quella mazurka c’ho fatto 1000 variazioni!”. Perché, e gli do ragione, è meglio un po’ di vanità che la falsa modestia. E allora, ben venga la frase che durante un capodanno mi rivolse: “St’ anno è l’anno dei brutti, io e te semo del gatto”. Trovava sempre la risposta giusta ad ogni situazione: a Giorgio Comaschi, che gli chiese durante la trasmissione RAI “La Zingara itinerante” se nella sua bottega di barbiere entrassero numerosi clienti, rispose laconicamente: “Curo la qualità non la quantità”. Il saper apprezzare piccoli lati della vita come i grandi eventi della mondanità, il voler a tutti i costi dare prova della sua conoscenza “Gige, hai visto quant’acqua c’è sul mare?” “Sì, perché te ‘nn’ hi visto quanta ce n’è sotto!…”. La sua compagnia era piacevole, non ci si poteva annoiare, fra avventure mirabolanti della sua giovinezza, commenti salaci sulla politica, locale, nazionale e mondiale, sullo sport, sulle donne, racconti incredibili ma veri, o meglio veramente incredibili, degni del Barone di Münchhausen. Luigi era uno di quei personaggi che caratterizzano una città: certo, stravagante, bizzarro, originale nel vestire ma -nessuno può negarlo- buono, simpatico ed educato. Aveva la singolare dote di saper stare bene con tutti, senza pregiudizi: parlava con lo stesso tono in ogni occasione, sia che il suo interlocutore fosse un famoso politico, un ricco imprenditore o l’ultimo dei diseredati. Faceva sua la frase del mistico Rumi: “Ovunque ti trovi, sii l’anima di quel posto”, senza peraltro conoscere, immagino, il grande teologo afgano.

Penso che uno come Luigi non rinascerà: la semplicità, l’allegria (che, diceva, ce l’aveva già nel cognome), la disponibilità, la voglia di divertirsi, la classe, l’imprevedibilità, la simpatia, sono doti difficili da ritrovare tutte in una sola persona. Se la sua uscita più celebre è la mitica “Io di Adoni non ne vedo!…”, ormai divenuta frase idiomatica dell’eugubino, soggetto di slogan e magliette, che si riferiva alla rarità di bei ragazzi che potessero permettersi crani rasati a zero, un’altra sua massima echeggia in me ogni qual volta nella vita incontro una difficoltà più o meno grande, di quelle che tutti prima o poi devono affrontare: “E te, te credi che la vita è facile?”. No Gigi, ‘’la vita nn’è facile pe ‘n cazzo, ti rispondo adesso, ma va ugualmente, per forza, vissuta”. Anzi, un virtuoso del ballo come te direbbe, “ormai sei in ballo, balla!”.